Secondo l’ultimo sondaggio dell’IPSOS, l’istituto diretto da Nando Pagnoncelli, il partito di Enrico Letta sarebbe il primo partito in Italia, seguito addirittura dalla Meloni con FI ad una manciata di decimali di percentuale, mentre sarebbe inarrestabile la caduta di Salvini precipitato addirittura al terzo posto, con il M5S ormai in progressivo disfacimento con meno del 15% di gradimento. Si tratta solo di sondaggi e siamo molto lontani dalle elezioni, in cui si contano i voti veri e non le emozioni. Tutto giusto, ma è pur vero che queste indicazioni fotografano una situazione nazionale in grande lievitazione, in cui Letta sta cercando di stabilizzare il Partito Democratico su alcune scelte, sia pure discutibili, come il dialogo preferenziale con il Movimento affidato a Giuseppe Conte e una disperata voglia di sinistra. Mentre quanto avviene nel centrodestra è meritevole di attenta riflessione, perchè la resistibile ascesa di Giorgia Meloni, ben salda all’opposizione del Governo Draghi e a discapito della nuova Lega di Matteo Salvini, apre una prospettiva ricca di incognite e di sorprese in vista dei futuri equilibri di potere all’interno del variegato mondo della destra italiana.
Di segno diametralmente opposto è il panorama politico calabrese, in cui sembrano prossime alla deflagrazione le stridenti contraddizioni che attraversano in profondità soprattutto il partito di Letta, ben lontano dall’essere il partito più apprezzato dall’opinione pubblica e che, semmai, si sta progressivamente, ma drammaticamente allontanando dal comune sentire e dai problemi veri della gente. Per la verità questo processo parte da lontano ed ha il suo punto alfa nell’evidente distacco della sinistra, del vecchio Partito Comunista e dei suoi eredi, dalle problematiche sociali, di emancipazione e di modernizzazione e dalle istanze di garanzia di giustizia e libertà, che caratterizzano anche larghi strati della comunità calabrese. La lettura che di questa realtà continua a fare il PD e che si è concretizzata anche nelle assai infelici esperienze di governo regionale del centrosinistra è stata priva di capacità di analisi e spesso ispirata a modelli del tutto opposti alle specificità calabresi. Questa esperienza non solo ha impedito la nascita di una classe dirigente all’altezza della gravità dei problemi, forgiata sulle battaglie politiche e istituzionali e su una vera cultura di governo, ma è stata facilmente colonizzata dalla dirigenza centrale, fedele interprete del sentimento nazionale che vive la Calabria come avamposto ormai perduto. Questo approccio, che è storicamente politico e ideologico, ha travolto anche l’incolpevole Nicola Irto, reo di essersi fidato di un apparato di partito virtuale, guidato dal commissario dimissionario Graziano, molto vivace nel cicaleccio sui social, ma assolutamente inconsistente nelle piazze, nei luoghi di lavoro e tra le donne e gli uomini calabresi.
In questo contesto il centrodestra, che finalmente sembra aver chiuso l’accordo sulla designazione di Roberto Occhiuto alla guida della Regione Calabria, vive come una missione scontata la vittoria alle elezioni di ottobre. Malgrado l’aggravarsi della situazione economica e sociale. E malgrado la lunga parentesi del Vicereame di Spirlì. Che, se possibile, ha reso ancora più aggrovigliati alcuni dossier, come quello della sanità, che oggi registra non solo il grande ritardo nell’erogazione delle prestazioni essenziali per la salute dei cittadini, ma, dopo oltre dieci anni di Commissariamento, evidenzia la totale mancanza di guida e di governo del settore, esposto quotidianamente al bombardamento dei tribunali e del TAR Calabria, che disintegrano gli atti amministrativi fondamentali, perchè privi di ragionevolezza, come da ultimo i DCA 49 e 50 con cui sono stati assegnati i budget del 2021 per le prestazioni di ricovero e di specialistica per le strutture ospedaliere e ambulatoriali accreditate, creando ulteriore caos e paralisi nel settore.
Malgrado ciò, malgrado cioè questa destra in Calabria abbia avuto responsabilità non inferiori o diverse da quelle della sinistra, si avvia a vincere agevolmente le prossime elezioni e c’è da sperare nell’esperienza consolidata di Occhiuto nel circondarsi di una squadra credibile, realmente sintonizzata sui problemi e capace di aprire un vero dialogo con le forze vive, professionisti, imprenditori, intellettuali, artigiani, lavoratori, giovani delusi che non studiano e non lavorano. Un mondo che la destra calabrese ha spesso ignorato, non riuscendo ad interpretarne le legittime aspirazioni e l’ansia di cambiamento effettivo.
Questa destra calabrese, che pure negli anni, dal dopoguerra in poi e particolarmente dall’avvento delle regioni, malgrado tutto è riuscita ad intercettare il consenso della maggioranza dell’elettorato, ma non è riuscita a tramutare questo consenso in efficace capacità di governo. Soprattutto non è riuscita a tesaurizzare quella voglia di moderazione dei ceti popolari e della borghesia illuminata nella composizione dei conflitti sociali, che aveva contraddistinto la lunga esperienza di governo della Democrazia Cristiana calabrese ed ha evidenziato in modo preoccupante la mancanza di una vera classe dirigente.
Oggi le residue speranze sono legate alla capacità di Roberto Occhiuto di fare sintesi tra le istanze pseudo radicali della Meloni e di Wanda Ferro e le truppe neosanfediste di Matteo Salvini, incalzate, dal Pollino all’Aspromonte, dai gruppi rivoluzionari di Luigi De Magistris.
Ma, forse, ai calabresi sempre più sfiduciati non rimane che raccogliersi in preghiera e recitare l’ultimo Te Deum.