LA CALABRIA NON PUÒ ASPETTARE

Mentre l’Italia vive una delle stagioni più complesse e difficili della sua storia recente, in Calabria c’è una sola certezza. Il Presidente ff. Nino Spirlì, la sua Giunta e l’intero Consiglio regionale per quest’anno mangeranno il Panettone di Natale.

 LA CALABRIA NON PUÒ ASPETTARE

Non so se è una buona notizia per i calabresi, ma lo è sicuramente per tutto l’apparato di governo regionale, staff, portaborse e strutture di supporto.

Qualche centinaio di politici e collaboratori, che a seguito della decisione dei capigruppo di convocare la seduta del Consiglio regionale per il 10 novembre che farà slittare le elezioni almeno a gennaio, salvo ulteriori rinvii, causa Covid, vedrà prorogato il proprio status con relativi compensi, ben oltre Natale. Non esattamente quello che servirebbe alla Calabria, stremata da una crisi economica senza precedenti ed esposta al possibile aggravarsi della situazione sanitaria, ormai in balia di una gestione Commissariale in evidente crisi di operatività e di un Dipartimento destrutturato e completamente fuori dalle dinamiche che riguardano la salute dei cittadini, sia dal punto di vista territoriale che ospedaliero.

In questo scenario sono partite le consuete manovre della peggiore politica, tendenti a procrastinare più a lungo possibile lo svolgimento delle elezioni. Anche se dovrebbero essere contrastanti gli interessi dei maggiori schieramenti politici. Infatti, il centrodestra, a parte la comprensibile voglia dell’eccentrico Spirlì di allungare oltre ogni limite l’ebrezza goduriosa insperata dei super poteri da Governatore, dovrebbe premere per accelerare le elezioni anticipate, sfruttare l’onda lunga emotiva della dolorosa scomparsa di Jole Santelli, non concedere tempo a PD e M5S per riorganizzare le fila. È evidente che i problemi non mancano nella individuazione del candidato alla Presidenza e col passare dei giorni fioriscono le aspirazioni. Bisogna capire se Salvini, Meloni e Berlusconi riconfermeranno i vecchi accordi e in questo caso il candidato dovrebbe andare a quel che resta di FI. O se, molto più realisticamente, si farà un adeguamento alle reali forze in campo e in questo caso sia la Lega che FdI potrebbero avanzare legittime pretese. I nomi sono i soliti, Roberto Occhiuto o Gian Luca Gallo per FI, il Sindaco di Catanzaro Sergio Abramo ormai in quota Lega e Wanda Ferro referente molto accreditata di Fratelli d’Italia, che avrebbe anche il vantaggio di genere, sulle tracce di Jole Santelli.

 

Di tutt’altra natura i problemi che agitano i sonni di Zingaretti e Di Maio. Soprattutto nel PD dove si ha assoluto bisogno di tempi lunghi per sciogliere a livello nazionale e per il rinnovo dei grandi Comuni italiani il nodo delle alleanze. Zingaretti ha ormai scelto la strada senza ritorno dell’accordo strategico con i grillini per garantire la sopravvivenza del governo Conte e cercare di creare una maggioranza sostenibile nelle elezioni amministrative. A maggior ragione in Calabria, dove pesa terribilmente la fallimentare esperienza Callipo e il PD continua ad avere una insanabile crisi di classe dirigente e appaiono fragili come il vetro soffiato a contatto con un elefante le supposte candidature di Antonio Viscomi, di Nicola Irto e dello stesso neo rinnovato Sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà. In questi giorni che preannunciano gli spiriti di Halloween c’è chi addirittura paventa che un rinfrancato Mario Oliverio, da una eventuale soluzione positiva delle sue vicende giudiziarie a novembre, potrebbe gettare di nuovo lo scompiglio nelle file delle disastrate armate zingarettiane. Ma questo è un film tutto da vedere.

Un film purtroppo visto e maldigerito è quello pagato dai contribuenti calabresi a Gabriele Muccino per realizzare il tanto discusso “Calabria, terra mia”, fortemente voluto dalla compianta Jole Santelli. 8 minuti e 8 secondi di immagini, suoni e colori fuori dal tempo e dalla storia. Di un’altra Calabria che non esiste, che forse non è mai esistita nella sua complessa identità, piegata sbrigativamente nella carta stagnola come le figurine colorate dei formaggini al cioccolato per i bambini nel dopoguerra. Un’operazione culturalmente sbagliata, che dimostra quanto lungo sia ancora il cammino per affrancarsi dagli stereotipi che segnano il nostro cammino.

La reazione unanime al corto di Muccino è stata radicalmente negativa, forse esageratamente negativa, nel colpevole silenzio della giunta regionale e dello stesso Spirlì, che avrebbero dovuto difendere e argomentare l’opera commissionata. E‘ evidente che il lavoro di un artista ha due piani di lettura. Uno squisitamente tecnico e artistico e uno più specificatamente politico, trattandosi di un lavoro commissionato con danaro pubblico e con un preciso obiettivo promozionale.
“Non importa far vedere se sia autentico o non autentico, non dovevo raccontare la realtà.” Con queste parole Gabriele Muccino ha tagliato corto sul fiume di polemiche e di contestazioni che hanno travolto il suo lavoro. È chiaro che un film è per definizione un prodotto di fantasia, che se raggiunge le vette dell’arte riesce a trasfigurare la realtà. E in quanto tale non potrebbe essere giudicato con codici politici. Muccino, però, ha accettato di realizzare, previo lauto compenso, un lavoro capace di creare, con gli straordinari strumenti della tecnica cinematografica, emozioni nello spettatore tali da stimolare il bisogno di conoscere da vicino la nuova immagine di questa terra. E da questo punto di vista l’operazione è artisticamente e politicamente fallita. Ovviamente sul piano artistico non può che risponderne il regista Muccino. Mentre sul piano politico coinvolge la committenza, che ha scelto una strada vecchia e consunta per un’operazione che andava coraggiosamente affidata in modo autenticamente visionario e moderno ad uno dei tanti giovani registi calabresi che si stanno faticosamente facendo strada nella difficile realtà della settima arte e che certamente avrebbero saputo parlare al mondo il linguaggio di una Calabria diversa nella sua dura bellezza e chiede solo di essere capita e rispettata.

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