a livello nazionale, che hanno ancora di più enfatizzato l’inadeguatezza della sua classe politica e dirigente, almeno dell’ultimo ventennio. Circostanza che Jole Santelli aveva velato, forte di un’esperienza politica maturata negli ambienti romani che contano e una presenza calibrata nei media nazionali. La pandemia ha fatto deflagrare tutte le contraddizioni di un sistema, quello sanitario in particolare, di cui tutti erano a conoscenza, ma nessuno aveva il coraggio di assumersi la responsabilità di individuare cause, ma anche soluzioni. Perché le cause sono da ricercare soprattutto nella politica sanitaria nazionale, almeno degli ultimi anni e della gestione regionale attraverso il ruolo anomalo dei Commissari per il Piano di rientro. Oggi che c’è la corsa, abbastanza contraddittoria ed emotiva per la riapertura degli Ospedali chiusi da anni e una più articolata territorializzazione dei servizi, nessuno affronta il cuore del problema e si domanda come tutto questo sia compatibile con il Piano di rientro dal disavanzo, con quali risorse economiche e di personale sarà possibile e come, passata speriamo presto l’emergenza COVID, queste strutture potranno riconvertirsi per avere un futuro. Non si riprodurrà la situazione regolamentata dal DM 70 del 2015, decreto Balduzzi, che ha imposto nuovi standard per tutte le strutture ospedaliere pubbliche e private, portando alla chiusura di molti ospedali non a norma? In questi giorni, poi, in Calabria, tra la giusta esigenza dei cittadini di restituire credibilità, trasparenza, efficienza al sistema, gridata in modo a volte inaccettabile dagli studi televisivi nazionali, a corto di idee e di audience, c’è voglia di sperimentare modelli, che non trovano alcun fondamento di garanzia costituzionale e che allontanerebbero ancora di più la Calabria dal resto del Paese, incrementando senza controllo la domanda di salute dei calabresi verso altre regioni. Ecco perché la vicenda calabrese è la spia preoccupante di una grande questione nazionale, che pone la necessità inderogabile di riportare al centro, alla competenza primaria dello Stato, la materia della salute dei cittadini, sottraendola alle interferenze politiche locali e agli appetiti della criminalità organizzata, ma anche a suggestioni terzomondiste. Avrà la possibilità il Commissario Longo di mettere ordine a tutta questa materia incandescente, non di sua esclusiva competenza evidentemente, ma che richiede rapidamente l’acquisizione di una visione complessiva, di prospettiva e non solo emergenziale?
Visione che manca totalmente alla politica, all’attuale maggioranza di governo regionale, ma anche all’opposizione che ruota attorno al PD e che sembrano completamente fuori dal dibattito non solo sulla sanità, ma sul futuro di questa terra delusa. È evidente che tutti i partiti, di destra e di sinistra, hanno ormai orientato le antenne sulla data del 14 febbraio e non trovano interesse a mettere le mani nella carne viva delle ferite più sanguinanti di questo territorio. Il problema sono le candidature, principalmente quelle alla poltrona più ambita di Governatore. E qui la partita si è teoricamente riaperta. Non solo per il riproporsi della legge non scritta dell’alternanza tra destra e sinistra, ma perché se il centrodestra, che non ha avuto il tempo di tesaurizzare l’esperienza Santelli, ha difficoltà di individuare una figura capace di raccoglierne il testimone, il PD non ha affatto superato la sua crisi di identità, accentuata dalla fallimentare esperienza Callipo e vive nel limbo del “vorrei, ma non posso”, sempre pronta a svendere la credibilità residua al mercatino dei 5S. Eppure, le aspirazioni personali non mancano a dispetto delle condizioni del territorio. A destra si è alla ricerca di consolidare le ragioni dell’unità della coalizione, che sembravano minacciate dalle aperture berlusconiane verso il Governo Conte. Ma soprattutto gli equilibri interni legati agli ultimi accordi sulle candidature nazionali potrebbero rimettere in discussione il diritto vantato da FI di esprimere il candidato o la candidata, che allo stato vede in lizza Roberto Occhiuto, in pole position, salvo rigurgiti leghisti, e l’attuale assessore all’agricoltura Gianluca Gallo, fresco di endorsement da parte di Nino Spirlì. Che non finisce mai di stupire per la gioiosa tenuta della battuta e fioritura di un linguaggio ridondante, che non dissimula la sua vocazione teatrale e che con molta onestà intellettuale si è dichiarato fuori dalla mischia delle candidature. Un’eventuale messa in discussione delle aspettative di FI, su cui peseranno le vicende giudiziarie, che hanno colpito uno dei suoi massimi esponenti, rimetterebbe in gioco Wanda Ferro, che sembra avere tutte le chance, non solo di genere, per non far rimpiangere Jole Santelli.
A sinistra la partita è, naturalmente, molto più complicata anche dal fatto che la poltrona di Governatore, non solo verrà utilizzata come merce di scambio per irretire i grillini verso un accordo di governo indissolubile, ma farebbe gola a tanti parlamentari terrorizzati all’idea di affrontare elezioni politiche per un Parlamento dimezzato. È il caso principalmente di un riapparso Marco Minniti, che pur conscio del suo difficile rapporto con l’elettorato, specie calabrese, questa volta non disdegnerebbe una candidatura, che comunque gli assicurerebbe un posto di Consigliere regionale. Lo stesso discorso riguarda Antonio Viscomi, ad oggi unico parlamentare “ortodosso” del PD, che potrebbe accettare volentieri di ricoprire la carica di Presidente della Giunta, dopo aver ricoperto per alcuni anni quella di Vice di Mario Oliverio. A proposito di Oliverio, continua a essere l’incubo dei luogotenenti di Zingaretti e ogni sua apparizione viene letta come uno spettrale ritorno. Chi non sembra nutrire velleità regionali è Enza Bruno Bossio, che insegue utopie rivoluzionarie attraverso l’introduzione della nefasta “patrimoniale”.
Inutile immaginare che il 14 febbraio 2021, festa degli innamorati, potrà dare risposte a tutti questi angosciosi interrogativi.
San Valentino di fuoco in Calabria