ricostruire un edificio in grado di affrontare in qualche modo la pandemia sanitaria, sociale ed economica che investe il Paese, per non perdere le ingenti risorse finanziarie europee. In quattro giorni. Impresa non da poco, che dimostra che il Conte ter, se ci sarà, non sarà come l’aveva immaginato l’avvocato di Volturara Appulo. Ma sarà il risultato di un lavoro più in profondità, molto più in dettaglio e certosino. Da scavatore, appunto.
La storia politica italiana conosce da tempo la figura dell’incaricato dal presidente della Repubblica per “esplorare” le possibilità per la formazione di un Governo di coalizione. Il primo a sperimentare questo escamotage istituzionale fu il Presidente Gronchi, che nel 1957 affidò al Presidente del Senato Cesare Merzagora l’incarico di verificare le condizioni per la formazione di un governo a seguito delle dimissioni di Antonio Segni. La missione fu coronata da successo e si poté formare il Governo di Adone Zoli. Da allora furono una decina gli esploratori, con alterni risultati e vi ricorsero quasi tutti i Presidenti della Repubblica. Da Segni a Saragat, a Pertini, da Cossiga a Napolitano, allo stesso Mattarella, che già in altri due casi, nel 2018, affidò alla Presidente del Senato Casellati e allo stesso Fico un incarico esplorativo, che non ebbe successo. E i nomi degli incaricati vanno da Leone a Pertini, a Morlino, a Fanfani a Nilde Jotti, a Spadolini a Franco Marini. Nomi di assoluto prestigio, che hanno segnato la nostra storia democratica e hanno dato vita a governi guidati da uomini come Aldo Moro, Giulio Andreotti, Bettino Craxi. Altro che operazione nostalgia.
Non c’è dubbio che Roberto Fico dovrà fare non solo un’opera di ricucitura e di ricamo, ma è chiamato a svolgere anche il lavoro più concreto, quello “sporco”, entrare nel vivo delle varie richieste di spazi politici da parte delle singole forze della maggioranza entrata in crisi e che a Mattarella hanno espresso una timida e generica disponibilità a ritrovarsi insieme per formare un nuovo governo. Ora, al di fuori della curialità con lo sfondo degli specchi e degli arazzi del Quirinale, Zingaretti, Crimi e Renzi, che appare allo stato come il vero battistrada, dovranno dire esattamente cosa vogliono in termini di contenuti, ma soprattutto di “posti”, per garantire quella maggioranza, da cui “partire” per formare un governo stabile e di legislatura. E qui non è solo il nome di Conte, decisamente traballante, che entrerà in discussione, ma anche quelli di importanti ministeri come la Giustizia, l’Istruzione, ma anche l’Economia. Il lavoro di Fico dovrà concludersi con una ipotesi concreta di governo, che comprenda non solo i contenuti e gli obiettivi programmatici, ma soprattutto il nome dei protagonisti, a partire dal Presidente del Consiglio. Non c’è dubbio che, sinora, le carte le ha dato Renzi, non solo perché ha provocato la crisi, ma perché ha tracciato il percorso della sua soluzione allo stesso Capo dello Stato, spiazzando un PD impaurito e incapace di una minima iniziativa credibile, in cui sembrano di avere un’anima solo gli ex DC, costretto a rimangiarsi il veto allo stesso leader di IV. Così come quel che resta del M5S in preda ad una costante crisi esistenziale e di nervi, la cui modesta classe dirigente vive dell’immeritata rendita di una quotazione parlamentare, che tutti i sondaggi indicano più che dimezzata nella realtà. Oggi Renzi è in condizione di dare il colpo di grazia alle mire di riconferma del duo Conte-Casalino, aprendo la strada ad un vero Governo del cambiamento, allargato alle forze, autenticamente europeiste e agli uomini e alle donne migliori. Ma è realistico aspettarsi che così non sarà e che si andrà ad un restyling del Conte 2, perdendo la più grande opportunità per far risvegliare l’Italia dal lungo sonno della mediocrità e dell’inefficienza degli ultimi governi a base sovranista e populista di sinistra. Tutto questo avverrà anche perché l’opposizione si sta impiccando con la corda delle elezioni anticipate, che tutti temono e che seppure costituiscano il più alto esercizio del potere democratico, in Italia sembrano diventate un ingranaggio diabolico da utilizzare per la lunga conservazione del potere.
Così come sta avvenendo in Calabria, dove destra e sinistra, al di fuori dei pronunciamenti pubblici, complice il Presidente lungamente facente funzioni Nino Spirlì, stanno trovando comodo rinviare le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale e l’elezione del Governatore, spaventati dai possibili esiti nefasti e la dilagante disaffezione popolare verso questa politica, che non c’è.
Allora non può destare scandalo se della Calabria si continua a parlare solo per le meritorie inchieste della Magistratura, per il disordine inguaribile della sanità malata, per le fascinose incursioni neo insurrezioniste nel Regno delle Due Sicilie di De Magistris o per le uscite a sensazione di Roberto Saviano e Corrado Augias. Tutta gente che utilizza questa terra come plot per improbabili crociate sociali e di costume. Mentre la verità amara è che a Roma come alla Cittadella si rischia di perdere l’ultimo treno verso il futuro.