altro prima, nella figura del Presidente del Consiglio, per l’autorevolezza, il prestigio e la caratura internazionale del professor Draghi.
In questi lunghi giorni di attesa dello scioglimento della riserva, la discussione si era incentrata sulla natura del futuro Governo: tecnico o politico. La lista dei Ministri concertata con Mattarella rappresenta una sintesi e una composizione, 15 politici e 8 tecnici, che farebbe propendere per una definizione di pronunciata caratterizzazione politica. Ma si tratta di un dato puramente quantitativo, perché dalla qualità e dal peso specifico dei ministeri affidati a indiscusse personalità del campo professionale, accademico e scientifico, dalle loro storie ed esperienze, si capisce che Draghi e Mattarella hanno realizzato un raffinato e delicatissimo “incastro politico “per realizzare un governo squisitamente “tecnico” su larga base “politica”. È evidente, cioè, che Draghi ha voluto riservare, per sé e per i suoi tecnici di fiducia, la gestione di tutti gli obiettivi che qualificheranno l’azione dell’esecutivo in Europa e nel Mondo. Dall’economia, con il Recovery Plan, all’Innovazione e alla transizione green, ai rapporti europei e internazionali, alle grandi riforme, a cominciare dalla Giustizia e alla Scuola. E questo è il cuore del Governo Draghi formato dai magnifici Otto (Franco, Colao, Cartabia, Giannini, Bianchi, Cingolani, Garofoli, Messa).
Poi c’è l’altro Governo quello tradizionale. Quello in cui storicamente si esercita il vecchio potere della politica, delle segreterie dei Partiti, del Manuale Cencelli di consolidata affidabilità. E qui, con l’esperienza e la saggezza di Mattarella, il Direttore d’Orchestra Mario Draghi ha dato prova di essere anche un grande e lucido politico, riuscendo apparentemente a coinvolgere paritariamente tutti i partiti dell’inedita larghissima maggioranza nella suddivisione calibratissima di ben 15 postazioni, anche di largo effetto mediatico nella vecchia nomenclatura dei Ministeri (Interni, Esteri, Difesa, Cultura, Turismo, Sanità, Lavoro, Sviluppo Economico, Pubblica Amministrazione, Sud, Famiglia ecc.). Ma di fatto tutti di seconda fascia, nel nuovo scenario post Covid, atteso che la partita si giocherà tutta sul Recovery Fund, sulle riforme e sui rapporti internazionali che gestirà direttamente e personalmente il Presidente del Consiglio. E da un’attenta analisi anche della individuazione degli uomini all’interno dei Partiti, che sono stati informati a scelte fatte, si capisce che è stata operata una raffinata selezione di figure non sempre appiattite sulle posizioni dei leader (Brunetta e Carfagna per il Partito di Berlusconi, D’Incà per i 5 Stelle, Giorgetti e Garavaglia per la Lega, Franceschini per il PD, Bonetti e non Bellanova per il partito di Renzi e così via). A conferma che la politica è stata costretta a disincagliarsi dalle posizioni che l’hanno resa invisa alimentando sfiducia e populismo. Tutti felici e contenti, allora? Certamente no, al di là delle dichiarazioni di circostanza di tutti i leader, con eccezione della Meloni, che ritiene di poter legittimare la scelta solitaria, ma coerente di restare alla finestra. A cominciare dai grillini che vedono dimezzato bruscamente il campo su cui godevano di una sovrastimata rendita di posizione nel governo Conte, con ministri chiave come Bonafede e Azzolina. Ma anche il PD di Zingaretti, che sognava di entrare personalmente nel Governo, aveva fatto una battaglia di principio in favore del potente ministro Gualtieri, mantiene col bilancino le tre posizioni che riflettono le tre anime di un Partito confuso, che dovrebbe presto fare i conti con la sua identità smarrita e che oggi per sopravvivere deve accettare di sedere allo stesso tavolo con gli odiati “sovranisti” di Salvini, oltre che con l‘ “infedele” Matteo Renzi. Che esce sicuramente ridimensionato dalla composizione del Ministero Draghi, di cui è stato il grande facilitatore. Ma anche qui si legge una sottilissima preoccupazione di non rendere troppo evidente agli altri alleati un eventuale premio a IV per il lavoro sporco fatto nella rottamazione del Governo Conte. Lo stesso Salvini, che avrebbe gradito molto un anticipato ritorno al Governo, deve fare buon viso all’evidente crescita di ruolo di Giorgetti e dovrà concentrare ancora di più la sua attenzione ai contenuti delle sue battaglie identitarie, sia pure alla luce della nuova vocazione europeista. Da parte sua, se Berlusconi ha visto riconosciuto lo stesso numero di ministeri del PD e della Lega, quale premio per il lavoro saggio e paziente svolto da un anno a questa parte, in cui ha anteposto gli interessi del Paese a quelli di bottega, non si ritrova esattamente con le indicazioni sui nomi che aveva fornito a Draghi. Pazienza, almeno per il momento.
Come si vede le chiavi di lettura dell’operazione Draghi-Mattarella sono assolutamente molteplici e variabili, a seconda delle angolazioni, delle aspettative realizzate o deluse e dei punti di vista.
Un dato sembra indiscutibile: l’azione di governo sarà indirizzata, guidata e gestita dalla squadra degli otto ministri tecnici, mentre i 15 ministri espressione della politica eserciteranno le azioni liturgiche della vecchia architettura del potere, per ora scampata allo tsunami della pandemia e del Professor Draghi. Mentre la stessa politica, tutto il vecchio apparato dei partiti sarà chiamato a rinnovarsi sin dalle fondamenta per reggere l’urto e il confronto con la “transizione ecologica” che investirà dal profondo le sue malferme strutture ideali e di potere.
Uno scenario per nulla scontato al quale, forse, sarebbe opportuno che si cominciasse a guardare anche in Calabria, dal decimo piano della Cittadella.