ad essere all’ultimo posto nell’utilizzo dei vaccini, soprattutto in favore della popolazione over 80. Solo qualche giorno fa il facente funzione Spirlì aveva firmato l’ennesima ordinanza che prolungava addirittura al 21 aprile la zona rossa calabrese, a conferma che, dal suo osservatorio, non c’erano le condizioni per un allentamento delle restrizioni e delle chiusure, che stanno spingendo nel baratro economico e sociale migliaia di attività commerciali, non solo bar e ristoranti, anche in Calabria. Ma soprattutto a conferma che ormai da qualche tempo la Calabria è un convoglio che viaggia senza una guida, su un binario con destinazione ignota e tutto avviene solo perché deve avvenire. Una sensazione strana, che si avverte in tutti i settori della vita sociale, civile, economica, culturale. Una sensazione che pervade non solo la politica, che mai come in questa fase, ormai lunga e inconcludente, è sospesa al filo delle decisioni, che tardano ad arrivare, sui contendenti alla carica di Governatore o Governatrice, alle prossime elezioni di ottobre. La nebbia e l’opacità avvolge tutta la vita pubblica calabrese, come un velo grigio di una ragnatela inestricabile e sottile, da cui tutto traspare, ma tutto è intoccabile e immutabile. Se non si ha il coraggio di rompere la rete pervasiva, senza inizio e senza fine, in cui siamo maledettamente tutti dentro e tutti fuori.
La tela del ragno calabrese non è una trama sofisticata ordita da menti raffinate e spregiudicate. È piuttosto il prodotto di un lavorio sordo e pervicace di tanti piccoli corpi voraci, che prima hanno succhiato l’anima di questa terra, le sue radici, la sua storia e poi ne hanno ricoperto il corpo esangue con un velo pietoso e impenetrabile, abbandonandolo all’imponderabile degli eventi. In questa fase storica è come se nessuno avesse la forza e l’interesse per cambiare il percorso della vita calabrese. Anche le considerazioni più radicali che descrivono la Calabria pervasa dall’orda famelica e nefasta della ‘ndrangheta non rendono a pieno la realtà delle cose. Non solo perché la Calabria vive di diversità storiche e territoriali, perlomeno quanto sono storiche e territoriali le diversità linguistiche e culturali. Se il problema risolutivo e vitale della Calabria dipendesse esclusivamente dalla presenza pervasiva della criminalità, basterebbe supportare con ulteriore determinazione l’azione meritoria delle forze dell’Ordine e dei valorosi magistrati che operano sui vari territori della regione per restituire la speranza ai calabresi. La storia ci insegna che lo Stato ha in sé, nelle sue strutture, nelle sue istituzioni, nei suoi uomini migliori la forza e la credibilità per vincere la lotta al crimine, nel rispetto delle leggi e dei diritti fondamentali dei cittadini. Ecco perché la ‘ndrangheta non può continuare ad essere un comodo alibi per chi non vuole fare di più e di diverso per questa sventurata terra. Il male oscuro che attanaglia la vita dei calabresi è la sfiducia nel futuro e la paura del passato, l’assuefazione al peggio, l’imponderabile convincimento che anche il destino comune si decide dentro il proprio guscio e non già nelle piazze e nei luoghi della democrazia. Questa angosciante esasperazione dell’individualismo si sta sviluppando specie in questi ultimi anni, in cui sono crollati tutti i riferimenti collettivi e la Calabria ha visto allontanarsi sempre di più gli obiettivi di cambiamento e di sviluppo civile ed economico e crescere la diversità nei confronti di altri territori, anche quelli a noi più prossimi. Al punto che cresce a dismisura la sensazione di impotenza e non la voglia di partecipare ad un nuovo percorso di cambiamento. Le cose vanno per come devono andare anche senza la partecipazione attiva ai processi di modificazione della realtà. Questa nuova fase della pandemia ha messo a nudo ancora di più questa percezione di debolezza e inefficacia del proprio individualismo, l’uso generalizzato delle mascherine ha tolto anche il piacere e il privilegio del pieno riconoscimento della persona, che si muove ancor più isolata e anonima verso un territorio estraneo. La stagione che sta vivendo la Calabria appare sempre di più come la sommatoria di tante inquietudini individuali, che non trovano sbocco in un cammino collettivo. Non si comunica, non ci si parla perché abbiamo perso fiducia anche nella parola. Calabria non è più un pezzo di storia, o un lembo di terra colorato di rosso o arancione, aggrappato al destino di questo paese, ma un territorio arcano dell’anima dolente di tanti cittadini disillusi.