LA POLITICA CALABRESE TRA DANNAZIONE E REDENZIONE

“E adesso pover’uomo?”

Hieronymus Bosch, Tra dannazione e redenzione
Hieronymus Bosch, Tra dannazione e redenzione

È solo il titolo di un famoso romanzo di Hans Fallada, scritto profeticamente nel 1932, che racconta la vicenda di un giovane commesso e della sua famiglia piccolo borghese, nella Germania che sta vivendo le ultime illusioni della Repubblica di Weimar e che, quasi inconsapevolmente, non trovando vie d’uscita credibili ai gravi problemi che attanagliano quella società, sta per piombare inesorabilmente nel Nazismo. La grande illusione che, attraverso il nuovo ordine, tutte le questioni possano essere risolte.

Ovviamente nulla a che vedere con la situazione italiana del 2021 e con quella calabrese alla vigilia, finalmente, delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale di ottobre.

Ma dopo la rinuncia, per alcuni versi prevedibile, della candidata Maria Antonietta Ventura, scelta in spregio ad ogni regola elementare della grammatica politica, dal funambolico quartetto Letta, Conte, Boccia, Graziano, appare veramente inquietante il compito che aspetta il PD e il suo Segretario Enrico Letta, su cui non incombono certamente le tragedie  della Germania hitleriana, ma sicuramente dovrà affrontare, con diversa qualità, anche questo fastidioso “dossier Calabria”, da anni chiuso e impolverato sulle scrivanie della politica e dei governi nazionali. D’altra parte, il modo come Letta si era velocemente liberato della questione calabrese, affidandosi all’intuito di Giuseppe Conte e alle assicurazioni dei suoi pretoriani Francesco Boccia e Stefano Graziano, era la conferma di quanto andiamo sostenendo da più tempo e che, cioè, della Calabria non interessa a nessuno, anzi è meglio restarne a debita distanza, lasciando che le intricate vicende calabresi le risolvano Magistratura e Forze dell’ordine. Con buona pace dei tanti giovani talenti, costretti a cercare fortuna e riconoscimento alle loro capacità inespresse fuori dai confini di questa bella e tormentata terra, dei tanti imprenditori onesti che lottano per la sopravvivenza contro la burocrazia, il fisco, le banche, delle donne e degli uomini che vivono le città e i borghi calabresi, difendendo quotidianamente le grandi bellezze, il diritto alla salute, all’ambiente, all’istruzione dei propri figli, alla tutela del patrimonio culturale e della propria identità violentata. Temi scomparsi da tempo dall’agenda della sinistra, del Partito Democratico e che fa capire l’assoluta mancanza di una classe dirigente in grado di proporsi alla guida della Regione. Temi assenti anche dai programmi delle varie giunte regionali di centro sinistra e, perciò, incapaci di reggere l’urto severo del vaglio elettorale, che puntualmente le ha bocciato, in una inesorabile logica dell’alternanza, consegnando la Calabria ad una destra, che finora non ha saputo fare tesoro dell’ansia di cambiamento, di libertà e di giustizia sociale, che esprimono in grande maggioranza i calabresi, che rifuggono il populismo settario e privo di prospettive credibili.

 

E adesso?

È il tempo dei rimpianti e dell’“io l’avevo detto”. Che allontanano ancora di più il momento di una presa di coscienza seria e responsabile che deve coinvolgere alla radice l’intera classe politica nazionale, nel dopo Covid e che l’esperienza Draghi sta mettendo in discussione, sia sui contenuti delle politiche, sempre più fortemente legate al linguaggio delle cose concrete e dei bisogni, sia sulla qualità degli apparati di partito, che non possono continuare a vivere la rendita della cooptazione. I Partiti e gli schieramenti così come li abbiamo conosciuti, dalla fine della seconda Repubblica, entro pochi mesi, già alla vigilia dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, saranno sottoposti ad un radicale sconvolgimento, i cui segnali prorompenti già si avvertono, a partire dalle vicende sconcertanti che riguardano i 5 Stelle, ma anche una parte del centrodestra, che dovrà scegliere se diventare il punto di riferimento della grande area moderata, storicamente maggioritaria nel Paese. In questo contesto il PD rischia di diventare il vaso di coccio, incapace di strategie autonome, sballottato dalle modeste capacità e esperienze del suo gruppo dirigente, in cui l’area di tradizione cattolica, più sensibile ai temi di una democrazia liberale e sociale, sembra più interessata all’occupazione degli spazi di governo. Mentre l’esperienza e le pur apprezzabili intuizioni di Matteo Renzi sembrano ferme al binario morto della Leopolda, malgrado molte delle riforme costituzionali, a partire dal ridimensionamento del regionalismo, purtroppo bocciate dal referendum, avrebbero potuto cambiare l’assetto non solo istituzionale del Paese. Ma su questo bisognerebbe avere il coraggio di aprire una grande riflessione critica e autocritica non solo nel campo della sinistra.

E la Calabria?

Il PD dovrà rassegnarsi ad individuare un candidato, con una lista del tutto rinnovata e, possibilmente, attraverso primarie serie e realmente aperte alla società civile, per evitare di essere surclassati anche dalle truppe “rivoluzionarie” del Sindaco di Napoli. E prepararsi a fare un’opposizione dignitosa e costruttiva in Consiglio regionale, mettendo al primo punto gli interessi della Calabria e non già i risentimenti e le rivalse del vecchio apparato.

Quanto a Roberto Occhiuto ha il dovere di ascoltare i calabresi onesti e che hanno scelto di continuare a credere nelle potenzialità di questa terra, pur nelle sue contraddizioni, formando una Giunta di uomini liberi e rappresentanti della grande varietà di competenze e intelligenze delle giovani donne e degli uomini calabresi, rifuggendo dalla ricerca degli equilibri basati sulle sordide compensazioni tra potere e consenso. Ha tutte le carte in regola per farlo. Non sprechi questa grande opportunità. Forse l’ultima per la Calabria. Prima che scenda il buio della notte.